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MISSIONE IBIS \ SOMALIA 1992-1994

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Dopo la destituzione del dittatore Siad Barre, l’USC (il congresso di unità somala) mise a capo del governo provvisorio Ali Mahdi Mohamed. Mohammed Farah Hassan (soprannominato Aidid ovvero il “vittorioso) che nell’USC era capo dell’ala militare non digerì questa scelta. 

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(Miliziano somalo armato con RPG-7 a Mogadiscio).

Aidid aveva guidato le truppe anti-governative che nel corso del 1991 conquistando Mogadiscio avevano destituito Siad Barre (di cui Aidid era stato prima generale e poi capo dei servizi segreti prima che lo stesso Barre lo facesse incarcerare perchè temeva tramasse alla sue spalle) si aspettava quindi dall’USC (il congresso somalo) un gesto di riconoscenza conferendogli la carica di leader somalo ma le cose non andarono secondo i suoi piani.

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(Mohammed Farah Aidid).

Per tutta risposta Aidid supportato dalla sua tribù si oppose al governo guidato da Mahdi dando di fatto inizio alla guerra civile somala, nel luglio 1991 Aidid ricevette un ulteriore smacco dopo che la conferenza di pace di Gibuti confermò la carica di presidente somalo a Mahdi, Aidid per tutta risposta inasprì la lotta armata precipitando il paese in un inferno.

(Una jeep di miliziani dotata di armamenti pesanti, in genere mitragliatrici di grosso calibro o cannoni senza rinculo, erano chiamate “tecniche”).

Il crescente stato di anarchia e di carestia in cui versava la Somalia porto l’ONU a interessarsi della questione e con a guida gli Stati Uniti diede inizio all’operazione “Restor Hope” il cui scopo era fornire assistenza alla popolazione (distribuendo cibo e fornendo assistenza medica), ricreando una nuova struttura statale (che si era polverizzata dopo la caduta di Barre) e infine disarmare le fazioni in lotta per il potere.

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(Paracadutista del 187° reggimento al checkpoint Obelisco).

Il 4 dicembre 1992 le forze statunitensi sbarcano in Somalia seguite nei giorni successivi da Italia (il cui contingente è quello più numeroso dopo quello americano), Belgio, Nigeria, Malasya, Pakistan, India, Emirati Arabi e Australia. Le prime forze italiane a giungere nel corno d’Africa sono gli incursori paracadutisti del 9° Col Moschin (13 dicembre) che due giorni dopo effettuano la loro prima missione: riprendere il possesso dell’ambasciata italiana occupata dagli insorti, missione che viene portata a termine senza l’uso della forza.

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(Carabinieri paracadutisti del battaglione Tuscania sul tetto dell’ambasciata italiana a Mogadiscio).

Il 16 dicembre arrivano a Mogadiscio le prime forze regolari italiane composte da soldati della brigata “Folgore”, seguiti il 22 dicembre dall’arrivo XXIV gruppo navale che pochi giorni dopo sbarca 23 mezzi anfibi e 16 mezzi cingolati del battaglione San Marco (appoggiati da 400 Marò) che porta a 800 il numero dei soldati italiani in teatro.

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(Paracadutisti di pattuglia su VM90, notare a destra il fascio littorio ricordo dell’epoca coloniale italiana).

Le truppe italiane installano a Balad la loro base operativa nei pressi della vecchia accademia militare somala mentre un contingente più piccolo viene stanziato nel porto di Mogadiscio (RE.LO.CO). L’esercito realizza sulla via imperiale, strada che attraversa Mogadiscio costruita durante l’occupazione coloniale italiana 5 checkpoint (Ferro, Pasta, Demonio, Banca, Obelisco).

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(VCC durante l’attività di pattugliamento per le vie di Mogadiscio).

I soldati italiani avvalendosi della positiva immagine lasciata durante il periodo coloniale entrano da subito in buoni rapporti con la popolazione somala al contrario di altri contingenti.

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(VCC al checkpoint PASTA, sullo sfondo si intravede l’ex pastifico Barilla)

Alla fine di dicembre Aidid e Ali Mahadi giungono a un accordo, in Somalia sembra tornare la pace grazie all’intervento ONU ma si tratta soltanto della quiete prima della tempesta. Il 4 gennaio il dispiegamento della forze ONU previsto per l’operazione “Restor hope” viene completato, oltre 25.000 il totale dei caschi blu schierati nel paese.

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(Paracadutisti del 183° reggimento posano per una foto ricordo).

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(Vasto assortimento di armi recuperato dai soldati italiani nell’ex pastificio Barilla).

I marines americani danno il via alle operazioni atte a disarmare le fazioni in lotta, dal 7 al 16 gennaio catturano e distruggono oltre 1200 tonnellate di armi. Nel corso dei combattimenti cade il marine Domingo Arrayo, la prima vittima del corpo di spedizione multinazionale.

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(Fanti del 78° reggimento “Lupi di Toscana” a Balad).

Le operazioni di ricerca di depositi di armi si estendono a tutta la Somalia, il 2 febbraio anche i paracadutisti della Folgore subiscono attacchi nella regione di Medio Scebeli, ITALFOR intanto riceve l’incarico di formare la nuova polizia somala.

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(Parà della folgore in compagnia di Marine USA a Mogadiscio)

La situazione però peggiora di giorno in giorno, le manifestazioni popolari contro i caschi blu aumentano e i miliziani si fanno sempre più audaci colpendo le truppe australiane, belghe e italiane. Nel mentre il Pentagono continua il ritiro del grosso delle truppe statunitensi con l’obbiettivo di lasciare nel paese solo una forza di intervento rapido di poche migliaia di uomini al servizio dell’ONU. Il 26 marzo l’ONU con la risoluzione 814 avvia l’operazione UNOSOM II con il fine di disarmare le fazioni in lotta, i caschi blu saranno autorizzati all’uso della forza per perseguire l’obbiettivo.

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(Parà della Folgore durante un attività di pattuglia)

Il 5 giugno nel corso di un rastrellamento nei pressi della stazione radio dell’SNA condotto da truppe pachistane scoppia il finimondo, le milizie di Aidid supportati dalla popolazione circondano i caschi blu e li attaccano: 25 soldati vengono uccisi, 5o sono i feriti e oltre una decina risultano dispersi. Per portare in salvo i soldati pachistani (e 10 americani) si decise di chiedere l’intervento degli incursori del 9° Col Moschin, che con una azione magistrale ruppero l’accerchiamento e posero in salvo i superstiti.

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(Operatori del 9° battaglione paracadutisti “Col Moschin”).

Dopo il grave incidente il consiglio di sicurezza dell’ONU si riunii votando all’unanimità la risoluzione n.837 con la quale autorizzava il segretario generale a prendere tutte le misure necessarie atte a punire i colpevoli, da questo momento l’operazione ONU assunse una caratteristica prevalentemente militare.

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(Un elicottero A-129 Mangusta si prepara per una missione)

Per rappresaglia l’ONU autorizza l’impiego delle cannoniere volanti AC-130 Spectre statunitensi che entrano in azione la notte del 12 giugno distruggendo l’emittente radio di Aidid e alcuni depositi di armi della SNA. Il clima di tensione continua a salire e si moltiplicano gli attacchi alle forze di pace che nel rispondere agli atti ostili provocano la morte di diversi civili (in cui i miliziani sono soliti mescolarsi per proteggersi dal fuoco di risposta delle truppe ONU).

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(Soldato pakistano nelle strade di Mogadiscio).

Il 2 luglio il comando italiano lancia l’operazione CANGURO 11: obbiettivo della missione rastrellare un area di 400 metri per 700, compresa fra il chekpoint “Pasta” e il chekpoint “Ferro” nel quartiere di Heliiwa, abitato da uomini della tribù Ha-ber-ghidir, quella a cui appartengono i miliziani di Aidid.

Partecipano all’operazione oltre 800 uomini, il grosso della forza è composto dai paracadutisti della brigata Folgore supportati dai mezzi corazzati della Brigata Ariete (con carri M-60), dai blindati dei Lancieri di Montebello (VCC-1, Fiat 6614, B-1 Centauro) e dell’aviazione dell’esercito con gli elicotteri d’attacco A-129 Mangusta e AB-205 nel ruolo di osservazione.

(Colonna italiana di blindati Fiat 6614 pronti a muovere).

Alle 6.00 del mattino i soldati italiani appoggiati dalla polizia somala iniziarono il rastrellamento casa per casa, tutto sembra andare liscio, vengono scoperti diversi depositi di armi e catturati alcuni miliziani. L’operazione sembra conclusa e il contingente italiano riceve l’ordine di rientrare, il raggruppamento ALFA deve rientrare a porto vecchio mentre il raggruppamento BRAVO a Balad sede del contingente italiano.

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(Il checkpoint PASTA visto dall’alto.)

Sono le 9.30 del mattino quando scattano i primi disordini, i mezzi italiani rimasti in zona vengono presi d’assalto dalla popolazione che li bersaglia con una fitta sassaiola mentre le strade vengono interrotte dalle barricate realizzate con copertoni in fiamme a automobili ribaltate costringendo i mezzi italiani a procedere lentamente. I paracadutisti per aprirsi la strada lanciano fumogeni e flashbang ma senza saperlo si stanno infilando in un imboscata ben congeniata, le milizie di Aidid facendosi scudo con i civili (in gran parte donne e bambini) cominciano a tirare sulle truppe italiane con AK e RPG, in breve tempo le truppe rimaste indietro vengono accerchiate.

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(Parà dietro a una mitragliatrice pesante Browning durante una distribuzione di viveri di prima necessità a Mogadiscio).

Scatta l’allarme, il comando italiano ordina al raggruppamento BRAVO di invertire la marcia (quando ormai erano a Balad, circa 20 km da Mogadiscio) e tornare indietro a soccorrere le unità attaccate, la colonna è formata dai paracadutisti del 183° Rgt paracadutisti Nembo di Pistoia , rafforzato dalla 15° compagnia Diavoli Neri del 186 Rgt Paracadutisti di Siena montata sui VCC e sulle VM90 seguita alle spalle dai carri M-60 della divisione Ariete.

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(Il raggruppramento BRAVO ritorna verso il checkpoint PASTA)

Arrivata nei pressi del chekpoint “Pasta” (cosi chiamato perchè nei suoi pressi sorge un vecchio pastificio della Barilla degli anni 30) la colonna è investita dal fuoco dei Miliziani. Mentre i VCC si apprestano a mettersi in posizione per fornire fuoco di copertura con le loro Browning cal.50 da una strada laterale arriva un colpo di RPG-7 che colpisce in pieno uno dei trasporti truppe blindati, il parà Pasquale Baccaro (servente di una della mg42) muore  colpito alla gamba dal razzo (che fortunatamente non esplode, altrimenti nessuno sarebbe sopravvissuto) mentre gli altri 2 membri dell’equipaggio vengono feriti in modo serio dalle schegge proiettate all’interno del veicolo.

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(Il VCC colpito dall’RPG-7).

Le milizie di Aidid supportate dal tiro dei mortai leggeri  e delle mitragliatrici guadagnarono terreno accorciando la distanza degli scontri, a causa dell’intensità del fuoco somalo le ambulanze erano impossibilitate a intervenire per soccorrere i feriti. I piloti degli elicotteri mangusta e dei carri erano frustrati per non poter dare appoggio ai compagni che si trovavano in difficoltà ma il comando italiano non diede l’ok ad aprire il fuoco perchè temeva di causare con le armi pesanti di questi assetti troppe vittime tra i civili presenti in gran numero nell’area degli scontri.

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(Parà italiani impegnati negli scontri di fronte al vecchio pastificio).

Per rompere l’accerchiamento ancora una volta si fece ricorso all’azione degli incursori del Col Moschin ai quali tocco il compito più difficile: ingaggiare i somali in pericolosi combattimenti casa per casa. Proprio nel corso di questa azione cade il sergente maggiore degli incursori Stefano Paolicchi falciato da una raffica di AK.

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(incursore del 9° Col Moschin a Mogadiscio)

Nel frattempo un gruppo di miliziani si impossessa di VM-90 del 9° Col Moschin cominciando a battere le posizioni italiane con la mitragliatrice cal.50 in dotazione al mezzo, dall’alto l’accaduto non sfugge all’equipaggio di un A-129 Mangusta (colpito a sua volta dal fuoco da terra) che lo neutralizza lanciando un missile anticarro TOW.

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(Il VM-90 catturato dai somali e successivamente distrutto da un missile TOW lanciato da un A-129 Mangusta)

Nel mentre al chekpoint FERRO si forma una colonna di soccorso composta interamente da volontari (2 VCC del Tuscania, 1 VCC del 186° e una blindo centauro dei lancieri di montebello) che inizia a muovere verso il luogo degli scontri. Ma prima di arrivare a PASTA vengono anch’essi ingaggiati dalle milizie, il capocarro della blindo Centauro Andrea Millevoi che sporge il busto fuori dalla torretta per coordinare meglio l’azione viene falciato dal fuoco nemico, quasi contemporaneamente anche il sotto-tenente del 186° Gianfranco Paglia in azione su un VCC viene ferito in modo serio (resterà paralizzato dalla vita in giù).

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(Dopo diversi tentativi finalmente gli elicotteri AB-205 riescono ad atterrare per evacuare i feriti verso gli ospedali da campo)

Per sbloccare la situazione anche i carri M-60 si gettarono nella mischia tirando con i loro 105\51mm contro un gruppo di baracche e container da cui proveniva il fuoco dei miliziani, l’azione ha successo e i miliziani allentano la pressione quel tanto che basta ai soldati sotto tiro per sganciarsi.

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(Un carro armato M-60 della brigata Ariete dotato di protezioni aggiuntive)

Verso le ore 13.00 dopo oltre 3 ore di combattimenti le truppe italiane lasciarono la zona degli scontri (abbandonando anche il checkpoint pasta e ferro, decisione presa perchè vista l’attuale situazione tenerli avrebbe voluto dire scatenare una battaglia campale dentro Mogadiscio, situazione che il comando italiano voleva evitare).

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(Parà feriti al riparo dietro ai VM duranti i combattimenti al checkpoint PASTA)

3 soldati italiani sono morti e altri 23 feriti mentre i somali lasciarono sul terreno oltre un centinaio di uomini.

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(Soldati italiani feriti vengono portati all’ospedale americano)

Il giorno seguente il comando ONU ordina al contingente italiano di riprendere il checkpoint   Pasta con l’uso della forza, il generale Loi (comandante delle forze italiane in Somalia) si rifiuta entrando in aperto conflitto col comando ONU, dopo delicati negoziati che videro coinvolti gli uomini del SISMI le truppe italiane il 9 luglio ripresero Pasta senza sparare un colpo.

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(Murales realizzato presso la base del contingente italiano a Balad).

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(Somalia, 15 anni dopo le tracce del passaggio dei reparti italiani resistono).

Il 12 luglio elicotteri da attacco Cobra della QRF (quick reaction force) statunitense attaccarono l’abitazione del ministro degli interni della SNA  Abdi Keibdid dove era in corso una riunione politica, nell’attacco perdono la vita 70 persone tra miliziani e civili tra cui molti esponenti della SNA. La reazione della popolazione di Mogadiscio è violenta e incontrollata: 4 giornalisti stranieri vengono trucidati, la giornalista italiana Ilaria Alpi viene messa in salvo da un drappello di sottufficiali della folgore che la prelevano dall’hotel “Scialpi” dove si era rifugiata per sfuggire al linciaggio.

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(Parà del 187° durante un turno di guardia notturno).

Il 14 luglio i soldati italiani vengono attaccati presso il checkpoint Banca  e il 5 agosto è nuovamente il checkpoint  Pasta a essere sotto fuoco dei miliziani. Verso la fine di agosto l’ambasciatore  statunitense Shinn dichiara che gli USA sono intenzionati a rafforzare gli aspetti militari dell’operazione.

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(Carabinieri del Tuscania a Mogadiscio)

Il 12 agosto il ministro della difesa Fabbri annuncia che la brigata Folgore sarà sostituita dalla brigata meccanizzata “Legnano”, le cui prime aliquote giungeranno nel corno d’Africa già il 25 agosto, in base agli accordi presi con il comando ONU il contingente italiano sposta il suo comando a Bele Uen nel nord della capitale, i soldati pachistani rileveranno le posizioni italiane a Mogadiscio.

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(Incursore di marina del GOI a Mogadiscio nella zona del porto vecchio)

Il 5 settembre sette caschi blu nigeriani vengono uccisi presso il checkpoint Pasta, due giorni dopo soldati americani e pachistani intervenuti per rimuovere delle barricate sulla via 21 ottobre vengono circondati dai miliziani di Aidid, intervengono gli elicotteri d’attacco Cobra che causeranno molte vittime tra la popolazione.

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(Elicotteri d’attacco americani Cobra intervenuti a soccorso delle truppe statunitensi e pachistane).

Nella notte tra il 14 e il 15 settembre due caporali della folgore in servizio presso la RE.LO.CO (porto vecchio di Mogadiscio) vengono uccisi dai colpi sparati da franchi tiratori somali, solo successivamente grazie a un inchiesta aperta dalla procura in italia emergeranno dettagli che porteranno a considerare una diversa causa delle morte (si parlò di fuoco amico da parte di soldati degli emirati arabi).

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(A-129 mangusta in volo sull’arido territorio somalo).

Il 3 ottobre il comando USA lancia l’operazione “Gothic Serpent”, l’obbiettivo è la cattura di Omar Salad Elmi e Mohamed Hassan Awale due importanti ministri di Aidid, la missione è affidata a una task force composta da ranger e operatori della Delta Force supportati dagli elicotteri del 160th Soar. L’obbiettivo viene raggiunto ma nella missione (protrattasi fino al 4 ottobre) perdono la vita 18 soldati americani, 73 vengono feriti e vennero abbattuti due elicotteri UH-60 blackhawk (Micheal Durant pilota di uno degli elicotteri abbattuti sarà fatto prigioniero dalle milizie di Aidid e verrà rilasciato dopo 11 giorni di prigionia).

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(Il luogo dello schianto di uno dei 2 uh-60 blackhawk abbattuti dai somali con i lanciarazzi RPG-7)

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(Operatori della DELTA FORCE durante l’op. Gothic Serpent).

Il 10 ottobre i fanti del 78° reggimento “Lupi di Toscana” di stanza a Balad scoprono presso l’ex caserma della guardia di finanza a Belet Huen un grosso deposito di armi composto da fucili d’assalto, cannoni senza rinculo, rpg e mortai (molti dei quali nei loro imballaggi originali).

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(Soldato del 78° rgt “Lupi di Toscana” distribuisce aiuti alla popolazione a Balad).

In poco tempo una folla numerosa si raduna attorno ai soldati italiani che ben presto vengono investiti da una fitta sassaiola, ma dai sassi si passa velocemente alle bombe a mano e ai proiettili. Il caporale Davide Bertocchi viene ferito negli scontri mentre due VM vengono lasciati sul posto resi inservibili dal numero di proiettili incassati. I fanti rientreranno alla base sui mezzi blindati e con l’intero carico di armi confiscate al seguito.

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(Carro M60A1 dotate di protezioni reattive in forza alla divisione Ariete).

Il 12 novembre le forze italiane registrano un altro caduto, il maresciallo Vincenzo LiCausi in forza al SISMI, ucciso da una banda di ladri che cercavano di impossessarsi di un autocarro. In Italia intanto il governo preme perchè i soldati italiani impegnati in Somalia e in Mozambico rientrino in tempi brevi in patria.

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(Parà della folgore al chekpoint PASTA)

All’inizio di gennaio il ministro della difesa Fabbri annuncia che da fine mese inizierà il ritiro del contingente IBIS ed entro il 31 marzo tutti i militari italiani lasceranno la Somalia ma   il tributo di sangue sembra destinato ad aumentare Una colonna della fanteria meccanizzata (66° reggimento “Valtellina”) cade in un imboscata sulla strada Balad-Mogadiscio, il tenente Giulio Ruzzi perde la vita durante lo scontro, è l’ultima vittima italiana della missione IBIS.

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(Soldati italiani feriti a bordo di una B1 Centauro pronti per essere evacuati durante gli scontri al checkpoint Pasta).

Il 10 marzo 1994 la bandiera italiana viene ammainata dal tetto dell’ex ambasciata su cui era stata issata il 16 dicembre 1992, il gen.Fiore trasferisce il comando italiano sulla nave Garibaldi giunta nella rada di Mogadiscio, il 5 aprile la nave attraccherà nel porto di Livorno con a bordo i reparti reduci da 15 mesi di missione nel corno d’africa.

La missione IBIS è giunta la termine.

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(A-129 mangusta sul ponte della Garibaldi)

Caduti italiani nella missione IBIS (Somalia 1992-1994).

  • Red Cross Nurse Sorella Maria Cristina Luinetti
  • Parà Giovanni Strambelli
  • S.Ten. Andrea Millevoli
  • Ser.Mag. Stefano Paolicchi
  • Parà Pasquale Baccaro
  • Parà Jonathan Mancinelli
  • Capor. Parà Rossano Visioli
  • Capor. Parà Giorgio Righetti
  • Ser. Mag. Roberto Cuomo
  • Mar. Capo Vincenzo Licausi
  • Lanciere Tommaso Carrozza
  • Ten. Giulio Ruzzi

Il loro sacrificio sarà ricordato per sempre.